L’isola non isola
Lo studio di architettura DAAA Haus nasce a Malta con un progetto che parte dalla comunicazione e dal racconto: molto atipiche le origini, brillante il risultato
Conversazione con l’architetto non architetto Keith Pillow nel suo “salotto” milanese (come lui ama definire la sede di Corso Monforte) per scoprire un percorso che nasce dal pensiero e dall’osservazione, dalle passioni e, pur con qualche apparente conflitto iniziale, dalla famiglia.
Come nasce DAAA Haus?
Nasce 15 anni fa a , mio luogo di origine e dove sono vissuto. Lavoravo in un’agenzia di comunicazione, non sono un architetto, vengo da una famiglia di architetti (a volte l’ingenua gioventù ti porta a non fare quello che fa tuo padre), la sera (ai tempi cellulari e email non esistevano) quando rientravo ascoltavo tutte le conversazioni con i clienti e i fornitori, percepivo i tanti problemi dei cantieri, non volevo fare quel mestiere. Oggi mio padre lavora con me. A quei tempi la mia strada legata alla comunicazione, la sentivo mia e alla fine ha influito e molto sulla futura nascita di DAAA Haus. L’attività funzionava, ho studiato molto e approfondito la materia a Londra, tutto andava bene, ma a un certo punto il lavoro mi stava stretto, avvertivo che mancava qualcosa per esprimermi al meglio. I clienti mi chiedevano sempre più spesso idee e opinioni su spazi che potessero rappresentare il loro brand, fornivo consulenze su come organizzare spazi negli uffici o come allestire vetrine negli showroom. All’inizio era un hobby. Avevo in staff una grafica che voleva studiare interior, io l’ho motivata a continuare su quella strada, poi un giorno le ho detto “se vuoi possiamo lavorare insieme sui progetti, un po’ alla volta, partendo da cose più piccole, tu segui l’interior e io la comunicazione”.
Ecco che nasce DAAA Haus, giusto?
Siamo partiti, abbiamo creato il marchio DAAA Haus che significa Design Arts (&) Architecture Associates House, i clienti ci hanno dato fiducia ed erano numerosi lavori che arrivavano. Ma anche qui, a un certo punto, sentivo che mancava qualcosa: a Malta in quei tempi gli studi di architettura di fronte a un progetto partivano con volumi e spazi, senza attribuire valore alla comunicazione legata al progetto. Ci sentivamo molto fuori dal coro, eravamo concettuali, sperimentavamo già in 3D (nessuno lo faceva). I miei collegamenti a Londra hanno portato lavori importanti: nella capitale inglese (siamo circa nel 2009) c’era il boom del real estate, si costruivano palazzi e gli architetti ci affidavano la parte legata al branding e alla comunicazione. Abbiamo imparato tanto. Ho deciso quindi di creare uno studio strutturato, ho cercato e trovato architetti e interior, la direzione dello studio era quella di progettare sempre creando una narrazione che potesse avere una traduzione commerciale. Oggi ci sono master universitari su questa materia, allora non se ne parlava proprio.
Da Malta a Milano, ma prima una tappa siciliana, come mai questa decisione?
Prima di arrivare a Milano apro uno studio in Sicilia a Ragusa, colleghi e collaboratori si sono fidati della mia idea di interior e comunicazione parenti stretti (anche lì di queste cose nessuno ne parlava), oggi sono loro che prima di partire a progettare si chiedono che narrazione si può costruire. E dopo Ragusa abbiamo aperto a Milano, oggi nei tre studi lavorano circa 40 persone, tutte le competenze necessarie sono coperte, web developers inclusi, perché il mondo digital è fondamentale. Lo studio di Ragusa lavora soprattutto per la Sicilia, nel frattempo abbiamo aperto collaborazioni con altri studi perché non ci vedono come concorrenti. Questo è il risultato del modello a cui abbiamo creduto da quando siamo nati.
Come vi aggiornate sulle novità e sulla sostenibilità?
Frequentiamo molti eventi, visitiamo volentieri i clienti nelle loro sedi, dedichiamo del tempo a questa attività. La nostra sede di Milano, per noi un salotto, è costruita con arredi di aziende che abbiamo conosciuto da vicino e che hanno anche (se non soprattutto) un serio progetto di sostenibilità. L’imbottitura di questa poltrona di Zanotta è realizzata tutta con plastica riciclata. Riguardo la sostenibilità: chiaramente non possiamo cambiare il mondo, ma quando abbiamo progettato il nostro studio abbiamo pensato di giocare sulla parola calda Carbon per identificare una palette di colori, dal nero a tutti i grigi possibili, una bella scala di colori, a noi piace molto. Tutto questo anche per comunicare che i prodotti sostenibili non devono per forza essere “poveri” o assomigliare necessariamente allo stile nordico. Tutto è possibile, senza dover rinunciare al proprio stile: i muri (grigi) con calce riciclata, con un amico utilizzando bottiglie di vino polverizzate stiamo progettando una collezione di piastrelle per un ristorante Zero Waste a Londra, pannelli fonoassorbenti realizzati da un’azienda svizzera con bottiglie riciclate. La sostenibilità è un percorso.
Scorrendo il vostro portfolio di progetti sembrerebbe a prima vista che il retail sia il settore dove l’espressività conta di più. Sono i committenti che vi lasciano più liberi o altro?
Abbiamo deciso di dedicarci al retail perché strettamente legato al mondo commerciale e al brand, da sempre il nostro terreno preferito. E quanto è più complessa l’anima del brand, più noi riusciamo a essere espressivi nel progetto di interior: di solito ci lasciano fare, quando qualche committente si oppone alle nostre idee noi siamo molto chiari, è un fatto di fiducia, se non ti fidi e vuoi un set a tua immagine e somiglianza allora è meglio che tu vada da un decoratore, non siamo noi il partner giusto. Quando sono arrivati progetti residenziali, abbiamo scoperto che anche un privato che vuole progettare casa alla fine è un brand e come tale va trattato. Il nostro lavoro inizia sempre sottoponendo al cliente un questionario molto dettagliato, dove chiediamo informazioni sugli studi, le passioni, i colori, le letture, la musica, se sono solitari o se amano socializzare. Con le risposte creiamo un profilo e il passo successivo è presentare un moodboard, non un interior, ma una composizione di colori, tessuti, materiali e a volte anche cibi: così vediamo le reazioni istintive e immediate. Se il cliente conferma il moodboard sappiamo poi cosa fare.
Passate con leggerezza da ambienti con poca architettura e pochi materiali (il Bottone) a quelli con tanta architettura (Londoners), vi trovate a vostro agio in contesti molto differenti tra di loro?
Sì, per noi non ci sono problemi. Per il Londoners dovevamo rispettare gli elementi classici del pub inglese, siamo riusciti a inserire qualche accenno di industrial e di hipster, ma fondamentalmente abbiamo conservato tratti essenziali, perché gli inglesi quello vogliono. Per contro il locale siciliano Bottone ha il cannolo come attrazione, ma il proprietario voleva qualcosa di diverso, un’idea che si allontanasse dalla sicilianità classica, nessuna ceramica, nessun festival del colore. Il Bottone è stato pensato come una gioielleria minimal (cemento, resina e ottone), con una luce che illumina i cannoli e attorno un contesto molto pulito e razionale, lontano da barocco e dalle sue rappresentazioni tradizionali.
Durante la Milano Design Week, DAAA Haus nella sua sede di Corso Monforte allestisce una outdoor lounge arricchita di nuovi prodotti a partire dalla collezione HERA e altri pezzi di design su misura sviluppati con Palladio Concepts. Dalla piccola Malta è nato un progetto multidisciplinare che atterra nel mondo dell’architettura e dell’interior dopo essere passato dalla sociologia, dal marketing e dalla letteratura. Keith Pillow ha disegnato un soggetto dalla forma distintiva, nuova e unica nel settore. Il pensiero del suo fondatore ha attraversato il mediterraneo e percorso tutta la penisola: perché l’isola, se uno ci crede fortemente, non isola.